Giovanni Caso
Opera 1^ classificata
Se l’ora è questa
Nessun vento si ferma al mio balcone
e l’uno l’altro insegue e mi aggredisce
il corpo, le ferite. E se mi attardo
fino al tramonto, quando è grido il cielo,
l’ansia del cuore ne respira il fremito
che sa di viaggi insonni, di contrade
di fieno e pane. In un feroce gioco
i giorni si rincorrono, balzando
come biglie di vetro tra le case
dai muri erosi.
C’è un orgoglio nuovo
nella strada aggredita dal tumulto
di passi e di motori, c’è un singhiozzo
che mai si placa. E’ dunque proprio questo
il suono della vita, è questo il moto
che avvia il mattino, il marchingegno astrale
che tutto aziona? L’orma del crepuscolo
si stampa su maioliche di luce,
ma chi può dire se le stelle anelano
a tanta eternità.
A noi è dato
di accendere una lampada, innalzata
tra sera e sera, di sentire a pelle
il grido e la libellula. Sconfina
anche il silenzio. Ma se l’ora è questa
non sia dolore il transito, il passaggio
nell’acqua del mistero. Non ci occorre
che un piccolo bagaglio in cui riporre
qualche sorriso, un gesto, la speranza
che accorcia la distanza al nuovo approdo.
Emilia Fragomeni
Opera vincitrice del Trofeo Donna Hotel Terme Olympia
Echi di vita
E sui sentieri di campi d’avena spigolo
brandelli di memorie, che riportano
la mia gente alla mia mente, la sua fede
cresciuta tra i filari, tra sfide di falci,
sudori alla fronte e canti di aratri nei campi.
Ritrovo allora la mia terra che vive
in ogni spiga che cresce tra le pietre,
nell’aspro e intenso balsamo del mosto,
nel grano di speranza nella madia,
nel pianto di rugiada del mattino,
nell’innocenza pura di una rosa.
L’eco della vita risuona e protegge,
languida, un’esistenza dai ritmi lenti,
dove la terra è canto che consola,
le arance son luce di speranza, il vento
porta il mare alle finestre, il pescatore
intreccia reti e pulisce sui gradini i pesci,
stanco. E sulla piazza i vecchi contadini
se ne stanno quieti a chiacchierare,
le schiene piegate dal lavoro nei campi.
Conserva la mia terra, nei suoi campi,
granelli finissimi strappati agli abissi;
nelle chiese e nelle pietre lastricate,
memorie di millenarie stirpi alla fatica
e strade che cambiano colore quando
l’ombra bisticcia con la luce e il sole
fa capriole sui crinali del monte che… tace.
Ha chiuso gli occhi solo per non vedere
sogni fatti a brandelli e lunghi viaggi
per lontane terre, dove si sogna il blu
del cielo, il profumo di zagara
e lo sciacquio del mare.
E’, questa, terra di naufragi e rese,
ma echeggia ancora di vita e di emozioni,
di fili di speranza appesi al vento, tra briciole
di foglie e scricchiolii di coscienze.
Werther Zabberoni
Opera 2^ classificata
Dove finisce il mondo
Là, dove finisce il mondo
e c’è soltanto il mare,
nell’isola dei condor
vorrei con te volare.
Là, dove da sempre si scontrano
le correnti dei due oceani,
là, stretto a te, vorrei provare
aver paura cosa vuol dire.
Vorrei poter capire
il fascino di quelle terre,
sentire il vento gelido sul viso,
volare sulle onde
e in esse veder risplendere il tuo sorriso.
Vorrei poter ascoltare
il frastuono dei flutti che s’infrangono
sulle rocce, battute da millenni
da mille e più tempeste.
Solo così, allora,
potrei capire appieno
cosa vuol dire vivere
e cosa vuol dire amare.
Là, vorrei purificare
in quelle onde imperiose
i miei ricordi, i mie rimpianti,
le mie speranze,
i miei sogni e le mie illusioni.
Là, dove finisce il mondo,
dove soltanto il condor osa volare,
anch’io vorrei trovare
in mezzo alle tempeste,
come un vecchio marinaio,
il paradiso perduto,
dove non si può aver paura
né di vivere, né di morire.
Benito Galilea
Opera 3^ classificata
Si vive talvolta come i poeti
Sulle colline dalle aie brulle, la terra
nasconde i figli legandoli ai cieli
delle tane, tra ciliegi e ulivi;
ancora la veste delle donne a fianco
dei pagliai, dall’alto il grido
del nibbio che feconda tra i canneti.
Nient’altro ho mai desiderato
più di questa terra, nient’altro nelle notti
sull’isola dei nidi dove l’uomo dai capelli
bianchi bevevo caffé senza guardarmi.
Si vive talvolta nella vita come i poeti
aggrappati a mensole di sogni, più volte
la terra diventa voce che passa di nascosto
rivisitando i cento fiumi della gente.
In questi nostri paesi di lapidi sommerse
rigenera il tempo gli odori dei sentieri
e la mia anima è una strada
dove più volte apparve il volto
di mia madre col mestolo a mezz’aria,
la nostra casa che sembrava un lago
dai tre lati dell’orto, la sera che bruciava
sui limoni come preghiera riconquistata.
Se un giorno torneremo dove si nasce
e si muore, dove col silenzio della notte
l’uva sazia volpi nell’estate, risaliremo
alle terre dei vecchi per guardare ancora
mungere le capre coi zapponi in alto. Lassù
dove le stagioni altro non sono che un lunario
di passi tornati dalle profondità del cielo.
Pietro Catalano
Opera 4^ classificata
Così conto i giorni
Per sopravvivermi ti ho forgiata come un’arma,
come una freccia al mio arco, come una pietra
nella mia fionda (Pablo Neruda)
Mi hai insegnato ad amarti,
lunghe colline ondulate
verso il rosaio senza spine
ho vissuto i miei anni migliori.
Corse sulla battigia e risa,
mani strette guardando l’orizzonte
finché la luna si concede al giorno.
Oggi ho imparato il cinismo del falco
– il canto scende lento nella notte –
il tempo non fa sconti alle menzogne
e leggero bussa il vento all’innocenza
portando via il coraggio dei giorni
smarriti nel campo di primule viola,
appassite nell’ora del commiato triste.
Così conto i giorni dell’autunno
– l’anima si scuote quando è viva –
e m’accorgo che la strada sale
verso l’ignoto, l’età non concede tregua
ai tormenti dell’anima, oggi la cetra
tace alla carezza lieve del vento.
Daniele Armando
Opera 5^ classificata
Disperate urla di vento
Piange lacrime nere il mare.
Anime seppellite
sotto pesanti massi di povertà,
senza nome, senza memoria.
Disperate urla di vento.
La terra assorbe il sangue
di poveri angeli schiacciati,
di magri sogni violentati.
Desolate urla di vento.
Un silenzio livido colora
il mistero di questa notte,
squartata di morte e di disperazione.
Strazianti urla di vento.
Un mare col grembo gonfio di dolore
consuma tutte le sue lacrime,
poi abbraccia piano le ombre della notte.
Chiama a raccolta ogni uomo, ogni cuore
e cerca un’alba d’amore
per far nascere i primi bagliori di speranza.
Antonio Damiano
Opera 6^ classificata
L’ultimo sentiero
Andare per un sentiero in ombra
Tra boschi folti nel cupo del fogliame
E sentire il calpestio dei passi
E poi nient’altro, sospeso in un tempo
In cui la mente cessa di ronzare
Liberando pensieri e pene
E nel silenzio si avviluppa e tace.
Andare per una via senza ritorno
Placido, sereno, senz’anima in subbuglio
Per quello che lasciasti, senza timore
Per il mistero innanzi, come un viandante
Che non ha ricordi, non ha più casa
E docilmente avanza senza voltarsi indietro,
Guardando una falce di luna bianca
Sull’orizzonte scuro ed una stella appen
Dischiusa nel blu intenso d’una notte chiara.
E poi entrare più lieve di una piuma
Nella coltre di velluto della nebbia innanzi
E chiuder gli occhi in placido abbandono
Come un bimbo sul seno della madre,
Dove si spegne ogni luce e suono
Ed il borbottio di quella vita
Che nemmen lontano per altri scorre.
Tristano Tamaro
Opera 7^ classificata
È ora di consegnare il compito
Stiamo accanto
seduti sullo stesso ricordo
e ti chiedo, come allora, soluzioni a domande
che hanno troppe e nessuna risposta.
La roccia e gli alberi non sono mutati,
(l’inverno è inciampato solo su di me)
e cerco, nei tuoi occhi d’aria,
una lucciola di faro che segni l’alfabeto
che riporta briciole di cuore.
Non ho trovato regole sicure,
mi tocca sempre indovinare il sentiero
imprigionato come sono
in questo piccolo involucro
segnato da paure antiche.
L’infinito ti tiene per mano, figlio mio,
e io corro nella memoria
senza saperti mai raggiungere;
chissà se sarai tu ad indicarmi le stelle
o chi t’ha versato quel freddo al cuore.
Navighiamo oceani separati,
nemmeno avverto la forma delle vele
o il vento e i profumi del tuo mare;
sento solo il naufragare confuso
d’una cascata incombente.
La campana è muta come allora
il sentiero conta le stesse pietre,
ma straniero è questo silenzio di montagna
e i passeri disegnano solo rotte stonate.
Avrei voluto insegnarti pianeti e comete,
la lucida rotondità del ruscello
o la musica del grano nel meriggio estivo,
ma sotto questo mosaico d’azzurro e nuvole
non so più condurti a porti di luce
e ogni meta ormai
s’è dispersa con te, nel vento.
Ramis Tenan
Opera 8^ classificata
Come un aquilone
Lasciami, padre, lasciami volare
nel cielo amico come fanno in tanti,
mi sento un aquilone colorato
che cerca il sogno della libertà.
Lascia quel filo, padre, che trattieni
tra le dita, tu dici, a protezione
della mia vita, ma che io credo invece
soltanto per la tua tranquillità.
Oh, figlio mio, ricordati che il vento
a volte può travolgere le vele
nel mare che pareva senza insidie
al pacifico volo dei gabbiani.
Rimani ancora un poco nel tuo nido,
avrai più avanti il tempo per il viaggio
nell’intricato rovinìo dei giorni
che a dura prova metterà il tuo volo.
La storia si ripete sempre e ovunque
e le parole “sogno” e “libertà”
incantano e trascinano le menti
in voli immaginari di conquiste.
Restano mani vuote verso il cielo,
un nido abbandonato e forse un sogno
sciupato dalla fretta di tentare
un volo che non è di libertà.
Raimondo Melee
Opera 9^ classificata
Renato
Ti vedo guidare speditamente al buio
Ignaro di marciare contromano
finché una luce,
improvvisa e abbagliante,
ti manda fuori strada.
Ti vedo viaggiare con lo sguardo
tra nuvole lontane
A inseguire sogni che puntualmente
svaniscono nel nulla.
Cercare nel cuore degli uomini
i colori di un’alba impossibile
Per scoprire poi,
nel grigio della vita,
il suo sapore vero.
Annamaria Pieralisi Da Lio
Opera 10^ classificata
Costa delle ginestre
Costa delle ginestre,
luogo dell’anima e della fantasia,
splendida ed alta nell’ardente sole
di un agosto lontano,
come un mantello doravi le pendici
del monte favoloso e austero,
immerso coi piedi da millenni
nelle onde di un mare
orlato di perlacea spuma
e spruzzi di smeraldo.
Noi eravamo come giovani delfini,
ebbri di sole e di calore,
mentre, fanciulli, giocavamo allora
entro quell’acqua chiara,
immersi nell’immemore gioia
che reca con sé la fanciullezza.
Il domani era un sogno remoto;
forse non sapevamo neppure
che ogni giorno finisce nella sera
e poi nel buio delle notte tetra.
Costa delle ginestre,
sogno dorato di un mondo
perduto e per sempre lontano,
torni ogni primavera a scendere
verso il mare con un tappeto
di vago profumo orientale
e ci riempi gli occhi di dolcezza
condita di malinconia.