1° class. Maria Rosa Oneto
“Sguardi in abbandono”
Ho attraversato le strade del tempo
forestiera in casa mia
nude le tenere membra
partorite a lische di dolore
Bimba che addentando una mela
cavalcasti la criniera del vento
Fossati d’anima rubati al Cielo
dove già donna ti ingannarono le apparenze
Amore che nel tradimento
snodi la passione
ingravidando il polline della sofferenza
Rosa senza più languore
morta dietro una finestra chiusa
ti ho chiamata
ridestandoti al suono del tuo nome
In quel buio di naufraghi e stelle
offristi a tutti un cuore di gianduia
Silenzio che percorri la bara in solitudine
Null’altro sulla strada della vita
che una serie di sguardi in abbandono
2° class. Alessandra Lunatici
“Il Pasto della Vita”
La Solitudine… mia triste compagna, mio amaro cibo.
Su di un tavolo imbandito di Dolore, fiumi di lacrime
riempiono caraffe traboccanti di domande.
Su di un vassoio d’argento il mio cuore batte ancora,
servito a commensali ardenti di una fame ingorda,
inconsapevoli complici di un Assassino vile
che trama abilmente la sua velenosa tela,
impaziente ed avido di mietere vittime innocenti.
Vorrei non assistere a questo disumano banchetto
che consuma l’ultima cena di cui, per brama di Consapevolezza,
sono al tempo stesso Vittima e Carnefice.
Il pensiero della fuga è il vino amaro dell’illusione
che ubriaca la mente, anestetizza i sensi,
è il vano tentativo di superare i propri limiti,
è il sogno di cui non siamo padroni.
Devo attendere… che l’ultimo brandello sia consumato,
che i calici si innalzino vuoti,
devo attendere… l’epilogo di questo pasto mortale,
affinché la mia Anima libera possa ricongiungersi
alla dimensione Immortale che l’attende.
3° class. Ivana Biagetti
Tempesta
Ho volo di rapace e manto di pantera.
Vedi? Io so di odiarti senza sentirmi impura.
Se l’odio può colmare come un immenso amore,
se vibra come il suono e arde uguale al sole,
non può perciò infestarci quale maligna erba
né crescerci nel ventre feto di mostro orrendo.
È nostro e ci appartiene come noi stessi al mondo.
Voi buoni e quasi santi guardatevi allo specchio:
no, non siete più belli di me cattiva e brutta!
Non compro mai la pace se non ad equo prezzo
e col buonismo ipocrita non cambio il mio furore.
È duro l’odio ed aspro e agisce da tiranno:
ha spazio per sé solo e in me non lascia spazio.
Ma se adeguarmi all’altro mi rende vile e serva,
mi voglio meglio schiava del despota a me interno.
Adesso però vattene ottusa rabbia sorda,
che venga ormai la quiete a spegnerti nel sonno!
Gonfio di piena il fiume ribolle e non ha sponde
tra pioppi esausti e salici prostrati sotto il vento.
Urla la vita il suo dolore al tuono
e al lampo mostra aperte le sue ferite a sangue.
Ma il piombo delle nubi dilava e alfin si squarcia
scoprendo l’oro vivo del sole nel tramonto.
Dormi mio cuore e sogna per me il sogno
che l’odio scelto oggi non veda il nuovo giorno.
4° class. Davide Valenti
Specchio di bambola
Il mio cuore in fiamme è poca cosa
sul tuo stagnante specchio gelato
dove lividi uccelli senza posa
vagano spettrali col ventre incavato.
Altri relitti del cielo silente
lontani, tracciano flebili scie luminose
che appena registra quel maligno indolente
principe di ghiacci e noie limacciose.
Ma tu, mia maledizione, mio agognato amore
sola risplendi in quell’abisso latente
ebbra come sei del tuo riflesso fulgore
e spregi, indifferente, la mia fiaccola invadente.
5° class. Marco Galvagni
L’arcobaleno
Annego nell’inchiostro
la seta che avvolge
il mio sonno
tra voli notturni
di pipistrelli e schiamazzi
mattutini delle lavandaie.
In un’aria di vetro
cerco di dirigere
il traffico delle mie passioni
e, lasciandomi lambire
dalla brezza amica,
mi riposo all’ombra
della grande quercia
ascoltando canzoni di ieri.
Il tempo, intanto, immemore
delle mie sofferenze,
ambisce solo a spargere
la mia cenere dolce
nell’armonia dello spazio remoto
dove le stelle
per noi son morte
e non c‘è un arcobaleno
che, dopo le vicende della vita,
si stagli nel cielo turchino e muti
la nostra essenza
dall’ombra alla luce.
6° class. Damiana Fabozzo
Ho scavato
Ho scavato nel sudore, e il
sudore era una lacrima,
una lacrima di terra.
Terra arida e disfatta predatrice
di parole e di un folle
incatenato.
Ne ho regalate tante al poeta,
che ha imprigionato quel senso
e ha dato un senso alla prigione
Ne ho regalate tante all’uomo,
ma l’uomo le ha uccise.
Ho scavato nella sabbia e la
sabbia era una lapide.
I tuoi fiori non bruceranno
Al sole, ma all’ombra della
stessa.
Ho avvitato il muto dolore,
Il rapace urlo funesto
Un amore ingoiato dal presagio.
Così, sorridi alla morte,
al respiro di un sospiro
trattenuto, adagiata su
un’immagine che sussurra il
ricordo.
Ho scavato la memoria e la
memoria si è persa, avida
del mai.
Così, sporca di terra, sabbia e
memoria, cerco di ripulire il
cuore.
Il poeta, raccoglie la
materia e mi parla.
Io non so rispondere al delirio,
al folle e alla follia che mi
ha rapito e tu poeta,
continua a parlare…
7° class. Enrico Calenda
Fiori di duna
Sperduto istante che nella mente tace
diffuso autunno di gialli fiori audace
topinambur sagaci, lenti fiori di duna
dove la sabbia in mucchi si raduna
(non solo fame, non solo sete
anche di sangue spargono le armi
il triste spandersi del cuore della gente
l’obnubilarsi arso della mente,
l’acutizzata estrema violenza
della tua atroce rea potenza).
S’alzano a volo alti i gabbiani,
si spingono lontani, più neri, i cormorani.
8° class. Umberto Belardinelli
Il Figlio del Cielo
L’ombra dell’Olmo amico
trema nel vento verticale del dolore,
antico nel metallo rugginoso della colpa
torna invisibile e da una piaga
effonde il suo profumo
che sulla terra non si è mai posato.
La notte giunge coi suoi artigli
ed organizza il male nel suo buio
per soffocare i grani di un rosario
che inevitabile ed opposto
ti libera in preghiera
nel tempo d’anime beate.
Nel Pane vivi il Suo Cenacolo
e nel tuo petto colmi il Calice,
mentre da un’abside remota
ascolti il canto ignoto delle ali,
così che la tua estasi si compia.
Io non conosco il male che separa
o ciò che riflette il bene,
ma certo dal tuo sonno potrai insegnarmi
che non è poi così lontano
ciò che cerchiamo.
Non è lontano l’Assoluto
e nella notte che divide
i nostri sogni a divenire
inseguirò quel bacio nuovo
che ha chiuso le tue labbra.
9° class. ex aequo
Claudio Borgianni
Questa notte torbida mi affoga
con l’ineluttabile veemenza
di un tonfo sordo sulle carni
afone di stoltezza. È inevitabile
solcare ricordi come prima
tra le volte… Tagliare racchiudere
è necessario oggetto di passatempo
a uomini inceneriti dal tempo
dal tempo che la mia mano assorbe
a segno indicibile. Io dannato dall’oblio
ricovero la mia mente nei più impervi
orifizi della terra e mi
ergo al cielo capovolto.
Putrida di speranze è questa
misera città.
Scendo da quella via e scontro facce
assuefatte che perdonano il cielo
della sua estraneità e le budella
mi si attorcono nel ventre
a quel insopportabile passione
che sono semplici istanti negati.
Rincaso stanco ebbro logoro
e le mie spalle volte al mondo
inerme sbarrano la strada a quel
volto livido che chiede pane.
E nel buio mi accoccolo nell’infimo
silenzio della mia esistenza.
9° class. ex aequo
Stefania Roncari
Come il vento
Nessun cedimento
nessun tentennamento
navigare nel movimento
sfiorando falesie di pensieri
fluttuando dentro come fuori
posso continuare ad amare
posso danzare nella bellezza
circumnavigare la dolcezza
quale ebbrezza nell’intensità
dell’unità ricomposta del tutto.
Siamo frammenti inabissati
maree che ritornano
non osiamo eppure siamo
pezzi di sole e di splendore
si sa – il periplo è arduo
non ti fermare
non lasciare
non disperare
ogni cosa ritorna alla Madre
tu sei il monsone e la quiete
è come il vento
soffia solfeggia scalfisce
irrompe improvviso inveisce
incidendo figure effimere
purifica accende raggiunge
atomi di vita strappati al nulla
anime che sono visioni
nel quartetto polifono
della partitura iniziale.
Segnalato dalla Giuria
Antonio Brescia
Il Giardino di Sabina
(Cos‘è poeta?)
Incastonato nella falesia del presente
scorgo nuvole di sillabe futuribili
che si specchiano nel mare dei ricordi.
Per vincere la “Noia” cercai di dare un corpo,
una verità ai Sogni, alle illusioni
geometrizzando l’idea del Mondo senza distruggere la Fantasia.
Volevo portare allo Zenith la sensazione umana
attraverso parabole giocanti: “alchimia della parola”.
“Il caso serve chi non agisce a caso”.
E così ho avuto scarpe ginniche da consumare
e pancia gonfia e fogli bianchi su cui partorire.
Sono il drammacurioso che gioca con la Realtà e la Bellezza;
solidonulla che si muove tra il Kitsch e la Bugia.
Mercurio trendy dal termometro alato, misuro la febbre dell’Esistenza
e prescrivo la medicina della trasformazione.
Poeta è femmina sensibilità e virile ribellione,
disintegrazione di norme fisse e stabilite per sempre;
l’Arte di esprimere “Grandezza” in spazi angusti.
Finché avremo bisogno d’AMORE
ci sarà in un angolo del nostro Cuore un poetamatto con cui parlare.
Penna del Mistero, Angelo di carne… invisibili Stimmate;
telefonino che si fa sangue pulsante, candela dell’Anima…
stella cometa; lampo variegato che illumina attimi di Silenzio!
Un giorno ti chiesi cos‘è Poeta? e tu mi rispondesti:
dipingimi il Giardino di Sabina.
Segnalato dalla giuria
Cesare Callegari
Carillon generation
Fossero state tue le mie orecchie,
quando quella mattina al Kyoto Garden tutto ci si straziava sopra…
Quando, riparato ai tuoi silenzi, ho imbottito il mio cuore di tritolo,
e con umile grazia mi sono incoronato re della distruzione.
Con sangue innocente ho firmato gli accordi col caos.
Ho vestito i lutti del mondo intero,
seguendo la crudeltà dei pavoni che facevano la ruota.
La tua luna nella mia gola ha vomitato tormenti.
Fiori enormi dall’insopportabile profumo.
Bellezze di giganti che si tramutavano in ombre.
Tutto ha preso le sembianze di ciò che più amavo.
Il terrore mi ha assalito.
Maschere,
maschere,
maschere.
Ho ucciso la spietata vergogna.
Pretendendo tutto ciò che la gente si limita a chiedere.
La fame delle locuste avanti e dietro me.
I capricci di un Re moccioso.
Inarrestabile, mi sono mosso come asteroide.
Nei sentieri più bui ho straziato carni con foga.
Alla luce del sole ho dato ordini.
Sostenuto dalle cose che non tornano, non ho più conosciuto leggi.
Ho abitato nella casa senza specchi.
Ho sognato il sonno senza sogni,
alla gogna della ghigliottina senza lama.
Mi sono striato delle pieghe dell’amore.
Dalle sue piaghe ho bevuto l’amaro nettare.
Fino a che, questo vortice ha asciugato tutte le mie lacrime.
È nato il nuovo cyborg.
Sdràiami.
Segnalato dalla Giuria
Gaetano Gallo
Apnea
Vado sempre più giù
immerso in un velluto scivoloso,
legato ad un peso genetico
che rende più veloce il processo.
Profonde correnti ascensionali
riattivano alchimie biochimiche,
laceranti piccole ulcere introvabili.
Morbide sfumature di blu
mi accarezzano come onde di seta,
e bolle contenenti profumi neutri
esplodono miscelandosi con la superficie.
Trattengo il respiro
per non infettarmi col silenzio circostante,
anche se sbarro le porte
che danno sul vuoto.
Trasformazioni scivolose
Foreste di mani
manipolano e rimescolano la vita fantasmatica,
come un mazzo di carte veggenti.
Proteggo le incertezze
sotto un cumulo di sabbia tiepida,
che trasuda trasformazioni scivolose.
Si aprono finalmente i gusci crostosi,
e sbrodolano liquido cerebrale,
prodotto dai maledetti processi trasversi.
Le incrinature frammentano i miei giudizi,
e diventano fluorescenti,
ogni volta che tento di aprire
una serratura senza resistenza.
Segnalata dalla Giuria
Giovanna Lacedra
Alchimia
Uno squarcio di luce sibila
e insinuandosi piano vomita
esoteriche pulsioni
da un’antica feritoia.
Non sento lame a trapassarmi
né ambigue mani a seviziarmi
lungo questa notte etilica,
dentro piaghe dissepolte.
Fingo un attimo di morte,
faccio appello all’artificio,
strappo lingue a schiuse bocche
recidendo il mio suffragio.
E distorco gli anatemi
che hai sputato sul mio altare
profanando vani emblemi
tra putredini e reliquie.
Non ti devo alcun silenzio,
né uno straccio di passione,
la tua bifida indolenza
è un conato nella fame.
Sono io quell’alchimista
che tramuta la tua fiamma
in una ninfea perversa
masturbata da un fantasma.